Seconda guerra mondiale, un rastrellamento, la stalla che sta per andare in fuoco…il coraggio di due ragazze ventenni nel racconto di Alberto Cerrato.
Lina e Maria, ragazze d’antan
Era l’inverno tra il 1944 e il ’45. Vivevo con i miei in quella casa con negozio a Santo Spirito, lo storico e mitico negozio di musù Mario che era un alimentari e anche bazar.
C’era la guerra, terribile nei suoi ultimi mesi. La casa è tra le due ferrovie, quella per Chivasso e quella per Torino. Le tradotte dei soldati durante il giorno stavano un po’ nascoste tra le due rive della ferrovia per Chivasso e la sera rientravano in stazione e poi partivano a luci spente per Torino. Abitavamo dunque in una posizione molto pericolosa per imboscate, attacchi e bombardamenti. Mia madre mandava me e mio fratello Giovanni nelle cascine di Vallarone, tutti clienti del negozio, per nostra maggior sicurezza.
Quel giorno andammo alla cascina del Sellaio, Scle in dialetto, con le sorelle Lina e Maria Sacchetto che erano venute a far spesa e ben gentili ci accettarono. Verso sera mio fratello piantò la grana che voleva tornare dalla mamma perché non stava bene, lui aveva sei anni, io due in più. Tanto frignò che Lina e Maria quando già stava giungendo l’oscurità lo riportarono a casa. Tornarono alla cascina di corsa così spaventate che facevano fatica a raccontare.
Lungo la strada avevano incrociato diverse donne che portavano in testa fascine di legna per la stufa cosa usuale a quei tempi. Ma quelle contadine erano troppe e alcune avevano i baffi! Chiaro un travestimento! Infatti erano partigiani e nelle fascine avevano mitra e fucili. Essi attesero la tradotta che andava verso Torino dall’alto della riva che costeggia la ferrovia subito prima del ponte sulla strada per Vallarone e spararono i loro colpi e tirarono una pioggia di bombe a mano. Sulla tradotta c’erano gli alpini della Brigata Monterosa, tutti giovanissimi mi disse poi mia madre e che erano stati tutto il giorno in negozio a farsi fare panini con acciughe o lardo e che andavano in Val di Susa a difendere i confini dai francesi.
La tradotta si fermò e veloci come fulmini giunsero in loro soccorso le camicie nere, i Muti. Iniziò la caccia ai partigiani, arrivarono anche nel cortile della nostra cascina, ci fecero uscire tutti e ci ingiunsero di consegnare i partigiani che erano nascosti da noi perché loro sapevano benissimo che erano lì (era vero, tempi di spie). I vecchi di casa, i Sacchetto e i Giaretti, giurarono che non c’era nessuno e allora i Muti dissero che li avrebbero stanati loro e diedero fuoco al fienile. Ma sotto il fienile c’era la stalla e le mucche e il vitello lanciarono muggiti spaventosi. Allora Lina e Maria, sui ventanni ambedue, affrontarono i Muti, si fecero largo con enorme forza e coraggio e aprirono la porta della stalla e anzi, un paio di quei soldati, probabilmente contadini e comunque ammirati da tanto ardire le aiutarono a slegare gli animali e a portarli in cortile al sicuro. In tutto quel trambusto i due partigiani se la svignarono di nascosto.
Anche noi ragazzi, io, Dino e Carlo, con secchi d’acqua aiutammo a spegner quei fuochi; i Muti se ne andarono senza altre storie dicendo solo che li avrebbero pigliati di lì a poco.
Lina e Maria che hanno riportato un bambino dalla mamma una sera quasi al buio incrociando contadine con i baffi e soprattutto salvando mucche e casa contro i militi della famigerata brigata Muti sono, nei miei ricordi a 76 anni di distanza, l’immagine di eroine d’antan.
Alberto Cerrato, Asti
Le storie di Cantami o Diva contribuiscono all’iniziativa #inpuntadiciabatte, il servizio informativo e di intrattenimento promosso da Astigov per supportare le famiglie durante l’Emergenza Coronavirus.